La mia storia-Sentiero di speranza APS

La storia di Annamaria

SI PUÒ PERDONARE UN PADRE COSÌ?

annamaria goertzen

Diversi anni fa ho ricevuto una telefonata che non mi sarei mai aspettata di ricevere: era mio padre che voleva venire a trovarmi. Forse questo sembrerà normale, ma l’ultima volta che avevo visto mio padre era stato 27 anni prima, quando lui lasciò mia madre e i suoi tre figli per unirsi ad una ragazza con la quale si è rifatto una famiglia.

A motivare la telefonata però era stata una mia lettera che gli avevo inviato all’inizio dell’anno precedente dove gli dicevo che lo avevo perdonato. Fino a quel momento non credevo fosse possibile perdonare mio padre (potevo perdonare tutti tranne lui). Se perdonare era difficile, dimenticare e vivere accettando le conseguenze di ciò che era accaduto sembrava veramente impossibile.

Vorrei raccontare la mia storia e cosa accadde che portò un cambiamento nella mia vita.

Durante gli ultimi anni delle scuole elementari con la mia famiglia abbiamo abitato in Sardegna per 4 anni. Durante questo periodo nacque mio fratello e poco dopo mio padre iniziò una relazione con la nostra babysitter. Quando questa relazione fu evidente, mia madre decise di prendere noi bambini e di tornare a Ravenna. Così dopo le pratiche per la separazione, tornammo a casa pieni di vergogna per quello che ci era successo. Nonostante avessimo vissuto sempre a Ravenna, il ritorno fu molto difficile. Ritrovare i parenti, gli amici, i compagni di scuola per ristabilire quel rapporto che era stato interrotto per 4 anni. Ci sentivamo veramente estranei nella nostra città. Sembrava quasi più facile formare nuove amicizie, forse perché ci sentivamo giudicati dai vecchi amici.

Fu proprio quell’anno che la compagna di scuola di mia sorella, la invitò a casa sua per partecipare ad un club per bambini dove si facevano giochi e si imparavano le storie su Gesù. Questo ha portato la nostra famiglia a conoscere i suoi genitori, una coppia di missionari evangelici che erano in Italia da 10 anni. Un’estate, quando avevo 15 anni, mi invitarono, insieme a mia sorella e a mio fratello, ad un Campo Evangelico. Io ero sempre andata in chiesa, ma non conoscevo niente degli evangelici e credevo che al campo si giocasse e si facessero passeggiate come avevo fatto l’estate precedente in colonia con le suore. Con mia grande sorpresa invece, scoprii che i ragazzi della mia età leggevano e studiavano la Parola di Dio che io, che ero sempre andata in chiesa fin da bambina, non avevo mai né posseduto, né letto. Così anch’io mi buttai nella lettura e nello studio della Bibbia e mi meravigliavo della competenza di queste persone che non erano né preti, né suore. Comunque la cosa che più mi colpì al campo furono i canti, le testimonianze e le preghiere, non solo degli insegnanti, ma dei ragazzi stessi: mi resi conto che avevano una relazione con Dio che io non avevo, nonostante mi considerassi una brava cristiana. Le preghiere non erano recitate, ma parlate direttamente a Dio e la pace e la gioia delle persone erano reali.

Prima che finisse la settimana, chiesi alla missionaria che ci aveva accompagnato, come potevo avere anch’io questa relazione personale con il Dio che conoscevo, o meglio che credevo di conoscere, ma che era così lontano da me. Così chiesi a Dio di perdonare i miei peccati accettando il sacrificio sostituivo di Gesù e gli affidai la mia vita chiedendogli di guidarla. Feci mia la sua promessa nel Vangelo di Giovanni 1:12 “A tutti coloro che lo hanno ricevuto, egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome.” In quel momento mi resi conto che ora avevo un Padre che mi amava veramente e mi avrebbe sempre amato ed in modo perfetto; io ero sua figlia per sempre. Questo pensiero mi riempì di gioia e di conforto. Così cominciai a leggere e studiare la Sua parola e Lui mi dava la stessa gioia e pace nel cuore che avevo visto nelle persone al campo.

Ogni tanto però il pensiero di mio padre mi ritornava in mente. Mi dava fastidio quello che aveva fatto: aveva sposato un’altra persona e si era rifatto una famiglia, ci aveva rigettato e non aveva mai fatto alcun tentativo per riavvicinarsi a noi in nessun modo.

Pur sapendo che dovevo perdonarlo, credevo che non sarei mai stata in grado di farlo. Pensavo che col passar degli anni forse il mio atteggiamento verso di lui sarebbe cambiato e che, se avessi capito le motivazioni delle sue azioni, sarei stata in grado di dimenticare. Ma ogni volta che mi ritrovavo a pensare a lui, una rabbia mi saliva dentro e le lacrime mi riempivano gli occhi. Mi rendevo conto che stavo coltivando una radice di amarezza nel mio cuore nei suoi confronti che si stava radicando sempre più profondamente nel mio cuore. Questo mi rendeva irritabile e critica nei confronti di tutti. Mi rendevo conto che se non fossi riuscita a perdonare, questo avrebbe contaminato tutta la mia vita ed io volevo essere liberata da questo rancore che col passare degli anni, anziché diminuire, stava invece trasformandosi in odio.

Il Signore mi mise nel cuore il desiderio di perdonare. In Ebrei 12:14-15 è scritto “Impegnatevi a cercare la pace con tutti e la santificazione senza la quale nessuno vedrà il Signore, vigilando bene che nessuno resti privo della grazia di Dio; che nessuna radice velenosa (di amarezza) venga fuori a darvi molestia e molti di voi ne siano contagiati”. Ed io volevo “cercare la pace con tutti”, ma sapevo anche che senza l’aiuto del Signore non sarei mai stata in grado di farlo. In cuor mio confessai a Dio i miei sentimenti, riconoscendo di essere stata ferita dalle azioni di mio padre. Cercai di identificare le conseguenze con le quali avrei dovuto continuare a vivere e decisi di accettarle e continuare a vivere in pace con Dio e con me stessa. Fu come se avessi cancellato un grosso debito che mio padre aveva nei miei confronti.

Poi un giorno, mentre ero in chiesa in Canada, il pastore, dopo un messaggio sul perdono, chiese a tutti di scrivere il nome di una persona con la quale avremmo voluto riprendere i contatti interrotti a causa di problemi sorti anche non per colpa nostra. Così la prima persona che Dio mi portò in mente fu mio padre. Presi un foglietto di carta e scrissi “babbo.” Già il fatto di ammettere la mia incapacità di fare qualcosa che avrei dovuto fare da anni mi fece sentir meglio. Poi ci chiese di pregare durante la settimana e di metterci in contatto con quella persona e comunicargli il nostro perdono. “Questo poi non posso farlo!” pensai, perché io ero in Canada e lui in Sardegna ed io non avevo mai avuto il suo numero di telefono. Poi mi ricordai che qualcuno mi aveva detto la via in cui abitava. Così decisi di scrivere a quell’indirizzo incompleto e forse inesistente e, se fosse stata la sua volontà per me di rincontrarlo, sarebbe stato il compito del Signore fargli recapitare la lettera. Così gli scrissi dicendogli che lo avevo perdonato per tutto ciò che mi aveva fatto e già sentivo il mio cuore più leggero.

Tornati in Italia, fui molto sorpresa di ricevere la sua telefonata e mi resi conto che era arrivato il momento di rincontrarlo e non sapevo proprio come avrei reagito. Quando ci incontrammo sulla porta di casa, la cosa che mi sorprese di più, fu proprio l’assenza totale di rabbia e di rancore nei suoi confronti e lo accolsi con una pace e una grazia incredibile che nemmeno io mi sarei aspettata.

Dio era stato fedele anche in questo. Mi ha dato la sua forza e la sua capacità di perdonare anche un padre così.