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SI PUÒ PERDONARE UN PADRE COSÌ?
Qualche
anno fa in settembre ho ricevuto una telefonata che non mi
sarei mai aspettata di ricevere: era mio padre che voleva
venire a trovarmi. Forse questo sembrerà normale, ma
l’ultima volta che avevo visto mio padre era stato 27
anni prima, quando lui lasciò mia madre e i suoi tre
figli per unirsi ad una ragazza con la quale si è rifatto
una famiglia.
A motivare la telefonata però era stata una mia lettera
che gli avevo inviato all’inizio dell’anno precedente
dove gli dicevo che lo avevo perdonato. Fino a quel momento
non credevo fosse possibile perdonare mio padre (potevo perdonare
tutti tranne lui). Se perdonare era difficile, dimenticare
e vivere accettando le conseguenze di ciò che era accaduto
sembrava veramente impossibile.
Vorrei raccontare la mia storia e cosa accadde nella mia
vita che portò un cambiamento nel mio modo di pensare.
Durante gli ultimi anni delle scuole elementari abitammo
in Sardegna per 4 anni. Durante questo periodo nacque mio
fratello e poco dopo mio padre iniziò una relazione
con la ragazza che era in effetti la nostra babysitter. Quando
questa relazione fu evidente, mia madre decise di prendere
noi bambini e di tornare a Ravenna, dove avevamo un appartamento.
Così dopo le pratiche per la separazione, tornammo
a Ravenna pieni di vergogna per quello che ci era successo.
Nonostante avessimo vissuto sempre a Ravenna, il ritorno fu
molto difficile. Ritrovare i parenti, gli amici, i compagni
di scuola per ristabililre quel rapporto che era stato interrotto
per 4 anni. Ci sentivamo veramente estranei nella nostra città.
Sembrava quasi più facile formare nuove amicizie, forse
perché ci sentivamo giudicati dai vecchi amici.
Fu proprio quell’anno che la compagna di scuola di
mia sorella, la invitò a casa sua per partecipare ad
un club per bambini dove si facevano giochi e si imparavano
le storie su Gesù. Questo ha portato la nostra famiglia
in contatto con i suoi genitori, una coppia di missionari
evangelici che erano in Italia da 10 anni. Un’estate,
quando avevo 15 anni, fui invitata da loro, insieme a mia
sorella e a mio fratello, ad un Campo Evangelico. Io ero sempre
andata in chiesa, ma non conoscevo niente degli evangelici
e credevo che al campo si giocasse e si facessero passeggiate
come avevo fatto altre volte in colonia con le suore. Con
mia grande sorpresa invece, scoprii che i ragazzi della mia
erà leggevano e studiavano la Parola di Dio che io,
che ero sempre andata in chiesa fin da bambina, non avevo
mai nè posseduto, nè letto. Così anch’io
mi buttai nella lettura e nello studio della Bibbia e mi meravigliavo
della competenza di queste persone che non erano nè
preti, nè suore. Comunque la cosa che più mi
colpì al campo furono i canti, le testimonianze e le
preghiere, non solo degli insegnanti, ma dei ragazzi stessi:
mi resi conto che avevano una relazione con Dio che io non
avevo, nonostante mi considerassi una brava cristiana. Le
preghiere non erano recitate, ma parlate direttamente a Dio
e la pace e la gioia delle persone erano reali.
Prima che finisse la settimana, chiesi alla missionaria che
ci aveva accompagnato, come potevo avere anch’io questa
relazione personale con il Dio che conoscevo, o meglio che
credevo di conoscere, ma che era così lontano da me.
Così pregai Dio di perdonare i miei peccati accettando
il sacrificio sostutitivo di Gesù e gli affidai la
mia vita chiedendogli di guidarla. Feci mia la sua promessa
nel Vangelo di Giovanni 1:12 “A tutti coloro che lo
hanno ricevuto, egli ha dato il diritto di diventare figli
di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome.”
In quel momento mi resi conto che ora avevo un Padre che mi
amava veramente e mi avrebbe sempre amato ed in modo perfetto;
io sarei stata sua figlia per sempre. Questo pensiero mi riempì
di gioia e di conforto. Così cominciai a leggere e
studiare la Sua parola e Lui mi dava la stessa gioia e pace
nel cuore che avevo visto nelle persone al campo.
Ogni tanto però il pensiero di mio padre mi ritornava
in mente. Mi dava fastidio quello che aveva fatto: aveva sposato
un’altra persona e si era rifatto una famiglia, ci aveva
rigettato e non aveva mai fatto alcun tentativo per riavvicinarsi
a noi in nessun modo.
Pur sapendo che dovevo perdonarlo, credevo che non sarei
mai stata in grado di farlo. Pensavo che col passar degli
anni forse il mio atteggiamento verso di lui sarebbe cambiato
e che, se avessi capito le motivazioni delle sue azioni, sarei
stata in grado di dimenticare. Ma ogni volta che mi ritrovavo
a pensare a lui, una rabbia mi saliva dentro e le lacrime
mi riempivano gli occhi. Mi rendevo conto che stavo coltivando
una radice di amarezza nel mio cuore nei suoi confronti che
si stava radicando sempre più profondamente nel mio
cuore. Questo mi rendeva irritabile e critica nei confronti
di tutti. Mi rendevo conto che se non fossi riuscita a perdonare,
questo avrebbe, in un certo senso, contaminato tutta la mia
vita ed io volevo essere liberata da questo rancore che, anziché
diminuire, col passare degli anni, stava invece trasformandosi
in odio.
Il Signore mi mise nel cuore il desiderio di perdonare. In
Ebrei 12:14-15 è scritto “Impegnatevi a cercare
la pace con tutti e la santificazione senza la quale nessuno
vedrà il Signore, vigilando bene che nessuno resti
privo della grazia di Dio; che nessuna radice velenosa (di
amarezza) venga fuori a darvi molestia e molti di voi ne siano
contagiati”. Ed io volevo “cercare la pace con
tutti”, ma sapevo anche che senza l’aiuto del
Signore non sarei mai stata in grado di farlo. In cuor mio
confessai a Dio i miei sentimenti, riconoscendo di essere
stata ferita dalle azioni di mio padre. Cercai di identificare
le conseguenze con le quali avrei dovuto continuare a vivere
e decisi di accettarle e continuare a vivere in pace con Dio
e con me stessa. Fu come se avessi cancellato un grosso debito
che mio padre aveva nei miei confronti.
Poi un giorno, mentre ero in chiesa in Canada, il pastore,
dopo un messaggio sul perdono, chiese a tutti di scrivere
il nome di una persona con la quale avremmo voluto riprendere
i contatti interrotti a causa di problemi sorti anche non
per colpa nostra. Così la prima persona che Dio mi
portò in mente fu mio padre. Presi un foglietto di
carta e scrissi “babbo.” Già il fatto di
ammettere la mia incapacità di fare qualcosa che avrei
dovuto fare da anni mi fece sentir meglio. Poi ci chiese di
pregare durante la settimana e di metterci in contatto con
quella persona e comunicargli il nostro perdono. “Questo
poi non posso farlo!” pensai, perché io ero in
Canada e lui in Sardegna ed io non avevo mai avuto il suo
numero di telefono. Poi mi ricordai che qualcuno mi aveva
detto la via in cui abitava. Così decisi di scrivere
a quell’indirizzo incompleto e forse inesistente e sarebbe
stato il compito del Signore fargli recapitare la lettera,
se fosse stata la sua volontà per me di rincontrarlo.
Così gli scrissi dicendogli che lo avevo perdonato
per tutto ciò che mi aveva fatto e già sentivo
il mio cuore più leggero.
Tornati in Italia, fui molto sorpresa di ricevere la sua
telefonata e mi resi conto che era arrivato il momento di
riincontrarlo faccia a faccia e non sapevo proprio come avrei
reagito. Quando ci incontrammo sulla porta di casa, la cosa
che mi sorprese di più fu proprio l’assenza totale
di rabbia e di rancore nei suoi confronti e lo accolsi con
una pace e una grazia incredibile che nemmeno io mi sarei
aspettata.
Dio era stato fedele anche in questo. Mi ha dato la sua forza
e la sua capacità di perdonare anche un padre così.
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